Pescaia della Palancola
Il termine pescaia deriva dal latino pescaria: “chiusa di sassi o d’altro costruita in un fiume per pigliar pesci”. Si è poi esteso il significato, comprendendo altre opere poste di traverso al fiume che ne ostacolano il corso, costruite con lo scopo sia di regimare le acque che di alimentare una gora, ovvero un canale di derivazione a servizio di un qualche impianto, come un mulino.
La nostra pescaia, alta 2,8 metri e larga circa 24, è riportata già in una mappa della Podesteria di Fiesole datata 1779, dove non appaiono ancora né il Ponte alla palancola, né quello delle Riffe. Proprio a monte della pescaia è segnata una gora, che attraversa l’odierna via Boccaccio per andare a rifornire di acqua fresca i numerosi lavatoi, da quelli delle Cure giù fino ai lavatoi delle lane posti fuori la Porta S. Gallo (attuale Piazza Libertà). La lavorazione dei panni era infatti un’attività artigianale molto diffusa fra gli abitanti della zona, che all’epoca costituiva un borgo a sé stante.
I panni di lino, trattati con ranno per perdere la ruvidezza, venivano prima risciacquati ai lavatoi, poi sbattuti e stesi ad asciugare sui prati, così come le lane e le sete prodotte nel quartiere. Per tutti questi procedimenti le fredde acque del Mugnone, considerate “lisce”, erano preferite a quelle dell’Arno, ritenute “dure”, ovvero calcaree. Questo era il mestiere del curandaio, colui che curava (ovvero trattava) i panni, un’attività così diffusa da far battezzare il borgo proprio… Le Cure.
La pescaia rimodella il paesaggio: a valle l’acqua che cade dalla cascata erode continuamente il fondo, mantenendo una pozza di acqua profonda, dove i pesci si possono rifugiare anche durante la siccità estiva, attirando gli uccelli che se ne nutrono. Nell’area a monte invece la corrente rallenta depositando sabbia e limo, su cui si insediano spesso canneti e altra vegetazione palustre.